mercoledì 22 gennaio 2014

In mezzo ai due Fiumi

Per salire sul monte Nemrut anche all'inizio di ottobre bisogna essere attrezzati, alto poco più di 2.200 metri la temperatura già nel pomeriggio scende vicino allo zero, il vento da ponente gela naso e mani.

Ma là sulla sua cima si guarda negli occhi Zeus. Il panorama del mondo è quello riservato agli Dei. Gli occhi possono correre per spazi inimmaginabili, al tramonto la luce obliqua del sole colora di rosa intenso le vallate ai nostri piedi: la bellezza è commovente

Colline e poi pianure e ancora valli, terre coltivate o incolte si rincorrono negli ocra in tutte le sfumature dell' oro, tutti i marroni i verdi curve perfette a perdita d'occhio, lontano l' immensità viene interrotta dal turchese imperioso dell'Eufrate limpido e scintillante.

Siamo vicini alla terra dello zafferano ed è come essere al cospetto di un imperatore millenario nel pieno del suo sfarzo.

Volevamo assistere al tramonto e poi anche all'alba da lassù, per cui il piano è stato passare la notte più in alto possibile, in modo da essere vicini e riuscire a percorrere pochi km in macchina e la salita a piedi, nel più breve tempo possibile visto la rigidità del clima e il nostro scarso equipaggiamento.

Karadut è l'ultimo insediamento, l'hotel: il Kervanseray, spettacolare per vista, cibo e prezzo equo (troverete recensioni in abbondanza sul web), il proprietario il signor Hami è gentilissimo, ci traccia carta geografica alla mano, un nuovo percorso del nostro viaggio, liquidando con un'alzata di spalle i timori di avvicinarci al confine Siriano: non gli sarò mai grata abbastanza per questa rivoluzione!

Così la mattina dopo decidiamo di proseguire per sud-est, attraversare il Firat (Eufrate) su un ferryboat passando da Kahta e Siverek, vogliamo vedere Diyarbakir la capitale, ovviamente non riconosciuta, del “non stato” Kurdistan prima di proseguire verso sud.

Sorrisi ancora sorrisi il popolo Curdo è felice di vederci, di raccontarsi, ci spiegano che i confini della loro terra disconosciuta arrivano a 30 km a sud di Mardin che dista 18 km dal 'reale confine' Siriano, e che fin là possiamo addentrarci senza nessun problema, ci credo e se avessimo ancora tempo arriverei fino a Nusaybin, ma vogliamo visitare lo Zafaran Monastery e poi il Tigri.

Sia Mardin che Midyat sono situate sopra i mille metri e da ambedue i paesi si gode di una vista emozionante.
Mardin arroccata a 1086 metri offre una vista a 360 gradi di una bellezza prepotente, la parte antica si srotola su poche strade piene di vita, ci sono gioiellerie una dopo l'altra con le porte aperte e le vetrine piene d'oro, la gente entra ed esce come fossero panetterie.

Qua forse il più fantastico bazar che ho visto fin'ora: i profumi delle spezie i colori dell' hennè le polveri per gli amman, pistacchi grandi come cigliege, nocciole e ottone, rame dipinto, il nero kajal d'oriente.

Finalmente non ci sono turisti sotto queste volte robuste e antiche quanto la nostra storia, il profumo della cannella e del caffè si alza sulle pareti scolpite delle case, sugli archi che disegnano terrazze adornate di preziosi kilim multicolori, dalle quali osservare il deserto. 

Entriamo in un piccolo bar dove si beve solo spremuta di melograno, il proprietario è seduto e con un amico stanno provando della musica ci sono vari strumenti alle pareti, c'è un cartello che parla di un concerto con canti in turco curdo e assiro, so che in questa zona ci sono minoranze che parlano ancora l'aramaico, sono curiosa e gli chiedo: i due sono felicissimi di raccontarsi e con un sorriso fino alle orecchie ci spiegano di essere Assiri, l'amico va a cercare suo figlio per farcelo conoscere.

Inizio a capire che una delle tante etnie di questo luogo sono proprio loro: i super perseguitati Siriani cristiani.

Questa regione montagnosa che comprende la metà orientale della provincia di Mardin e la parte ad ovest del Tigri della provincia di Sirnak, si chiama Tur Abdin.


Il nome Tur Abdin deriva dal siriaco e significa 'montagna dei servi di Dio', la gente originaria di questi luoghi, sono Assiri e Aramaici conosciuti come 'Suryoye' di religione cristiana siro ortodossa, parlano un dialetto della lingua aramaica chiamato turoyo.

Il più importante centro siro-ortodosso della regione è il Dayro d-Kurkmo altrementi conosciuto come: Zafaran Monastery, la leggenda dice che per ottenere il suo colore i costruttori abbiano mescolato la preziosa spezia alla calce.
È abitato dal vescovo, da alcuni monaci, suore e sono ospitati dei fortunati studenti.

Proseguendo arriviamo a Midyat è un altra città di origine Siriaca a circa 1070 m. Nonostante ormai in minoranza, i campanili delle chiese cristiane dominano ancora il panorama.

È surreale tutto sembra essere in qualche modo cristallizzato in un passato così remoto da far credere che non abbiano mai perso la memoria; sembrano poverissimi ma vivono in case pazzesche, come se la più umile delle famiglie abitasse in un palazzo del seicento.

Le camere da letto sono sui tetti i letti a baldacchino, dalle finestre ancora tappeti. 
Anche gli uomini mi salutano: As-Salaam-Alaikum, rispondo sorridendo: Wa-Alaikum-Salaam.

Vale la pena comprare gioielli in argento da queste parti, le lavorazioni sono di ottima fattura e soprattutto si trovano buoni smeraldi Iraniani a prezzi super convenienti.


L'ultima tappa prima di tornare a Istambul è il villaggio di Hasankeyf, un luogo di rara bellezza.

Dichiarato sito archeologico di primo grado nel 1978, il suo nome significa 'roccaforte rocciosa' e in quest'area conosciuta come Alta Mesopotamia è un simbolo: nella valle del Tigri, terra testimone di oltre venti civiltà con un passato di 12.000 anni sono presenti 289 siti archeologici e nemmeno il 40% dell'area è sottoposta a scavi!

Vi giungiamo scoprendo che una manifestazione blocca il ponte ed è impossibile proseguire, scendiamo sull' argine del Tigri ammirando i resti del ponte romano, le pareti sul fiume sono alte e scoscese, è torbido e a differenza dell'Eufrate, il livello dell'acqua è molto basso e il suo colore poco invitante. 

L'antica cittadella è chiusa per restauri ma nessuno ci lavora, la strada che ci accompagna lungo il fiume doveva essere quella del bazar prima che chiudessero il sito, un ragazzino ci chiede se vogliamo comprare un kilim aprirebbe il negozio solo per noi, grande tentazione!
ma decliniamo l'offerta viaggiamo bagaglio a mano e poi sul Jonathan un tappeto non ci sta!

Ci fermiamo per un caffè prima di rimetterci in macchina, questo posto meraviglioso rischia di essere abbandonato a se stesso e so che questo rende tutti più poveri.

Monica